Vita di Giuseppina Berettoni
- Famiglia - Infanzia - Giovinezza (1875-1895).
- Vita Claustrale: la "Monachite" (1895-1901; 1907-1908).
- Dalle "Suore di Carità Figlie di N.S. al Monte Calvario".
- Dalle "Missionarie del S. Cuore" della Cabrini.
- Dalle Clarisse di San Cosimato al Celio (Roma).
- Suo Apostolato.
- Attività educativa.
- Fenomeni mistici.
- Ultimi bagliori
- Morte Preziosa
GIUSEPPINA BERETTONI
apostola dalla fede tenace
e dalla carità operosa
apostola dalla fede tenace
e dalla carità operosa
Famiglia - Infanzia - Giovinezza
(1875 - 1895)
Giuseppina, Annunziata, Enrica Berettoni nacque a Roma in Via dei Quattro Cantoni, nei pressi della Basilica Liberiana, il 6 agosto dell’anno 1875, proclamato da Pio IX ‘Anno Giubilare del perdono e del Rinnovamento Spirituale’. Fu battezzata nella Basilica di S. Maria Maggiore il giorno 9 dello stesso mese di agosto e cresimata in S. Giovanni il 31 dicembre del 1886.
I genitori, di condizione modesta ma dignitosa, vissero intensamente il periodo che precedette la sua nascita; aumentando il loro fervore e la vita spirituale. Essi vennero presto a conoscenza di alcune premonizioni sul futuro di Giuseppina, destinata ad essere un'anima speciale. Tra l’altro, una zia previde il verificarsi di un parto gemellare e consigliò di chiamare la prima nata delle due gemelle, Giuseppina; e così avvenne.
La madre, Orsola Marini, laziale, ebbe 10 figli il cui destino spirituale le stava tanto a cuore da giungere fino a pregare Dio, come aveva fatto S. Rita da Cascia, che togliesse loro la vita piuttosto che si macchiassero di un peccato mortale; e questo in modo speciale per Giuseppina.
Il padre, Cesare Berettoni (nato a Morrovalle Macerata – nel 1839; deceduto a Roma il 15 agosto 1898), impiegato nell'ufficio sanitario di Roma, era un uomo molto rigido nell'educazione dei figli e sinceramente religioso. Alla morte della mamma, quando Giuseppina aveva solo quattro anni, il padre si occupò della sua educazione con premura e sollecitudine ancora maggiori.
La prima confessione di Giuseppina avvenne all'età di 3 anni; ella stessa racconta che in quell'occasione il Signore le concesse il discernimento del bene e del male tanto quanto ne avrà successivamente in età adulta.
Giuseppina fu una bimba vivacissima, ma il Signore, già dall’infanzia, lavorava in quest'anima, come possiamo costatare leggendo i pensieri e le aspirazioni raccolte nei diari da lei compilati tra gli otto e i tredici anni e mezzo.
Questi scritti rivelano una maturità e una consapevolezza di sentimenti non facilmente riscontrabili nei bambini della sua età: sentimenti che si svilupperanno poi, in un continuo crescendo, fino alla decisione di darsi completamente a Dio, dedicando la propria vita alla salvezza delle anime.
Fino dalla tenera età dimostrò il suo particolare amore per l'Eucaristia, vero centro della sua esistenza, come è evidente dalle sue lettere e dai suoi scritti in genere.
Di questo Sacramento aveva sempre un ardente desiderio e vi si accostava con grande trasporto per essere veramente gradita allo Sposo dell'anima: Gesù Bambino. La sua preparazione consisteva in atti piccoli, ma concreti, che rivelavano la sua volontà lucida e decisa a combattere il peccato ed ogni più piccola imperfezione. Ella, però, si rammaricava molto nel rilevare che, dopo sette comunioni avesse fatto solo pochi progressi:
"Con oggi sono stati sette Gesù che ho preso, ma ancora non sono diventata buona (aveva fatto poco o nessun progresso). A casa sì, a scuola no, perché chiacchiero sempre con Fabrizi e alla maestra dispiace e così dispiacerà a Gesù che non vuole bene alle ragazzine chiacchierone come me".
"Con oggi sono stati sette Gesù che ho preso, ma ancora non sono diventata buona (aveva fatto poco o nessun progresso). A casa sì, a scuola no, perché chiacchiero sempre con Fabrizi e alla maestra dispiace e così dispiacerà a Gesù che non vuole bene alle ragazzine chiacchierone come me".
Percorse tutte le tappe della vita spirituale di un’adolescente con grande trasporto d'amore e con l’intima consapevolezza della caducità delle cose del mondo, che la spinse piuttosto a scegliere di perseguire i beni eterni.
A nove anni aveva pronunciato anche il voto di Verginità.
Vita Claustrale: la ‘Monachite’
(1895 - 1901; 1907 - 1908)
L'esigenza interiore di Giuseppina per la vita claustrale non fu mai soddisfatta, anzi le cagionò non poche sofferenze dato il suo rifiuto per la vita del mondo, così contrario a quella di Dio. Non ancora quattordicenne così affermava nel gennaio 1889:
"Le feste e i piaceri del mondo mi mettono una grande tristezza nell’anima e mi fanno desiderare di più il Paradiso...
Mi pare impossibile amare Gesù e desiderare di vivere; è come dire amare la luce e cercare le tenebre. La vita terrena è tenebre, quella celeste è luce perché vi è Gesù che è per il Paradiso quello che è il sole pel mondo da noi abitato; calore e vita. E vita e calore e luce io sento fra le fitte tenebre di questo mondo, solo allora che mi avvicino a Gesù e mi nutro delle Sue carni".
Purtroppo, proprio da quegli Istituti cui tanto aspirava e dai quali, all’inizio, sarà accolta e trattenuta con entusiasmo, in seguito sarà respinta, a causa di incomprensioni, invidia, ma soprattutto per gelosia dei grandi carismi di cui era dotata. Tali fatti Giuseppina accetterà con rassegnazione, vedendo anche in questi rifiuti la volontà di Dio. Solo più tardi potrà acquietare il suo spirito in un Istituto moderno: quello secolare delle ‘Missionarie della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo’, fondato dai francescani lombardi Padri Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Arcangelo Mazzotti, futuro Arcivescovo di Sassari.
Ma quali risvolti drammatici prima di giungere, come si suol dire, a buon porto! Solo Dio sa a quale mortificazioni e umiliazioni andrà soggetta! È incredibile, ma è pur vero che proprio negli ambienti in cui sovrana dovrebbe regnare la contemplazione, lì si trovi la maggiore resistenza a questa.
Dalle Suore di Carità
Figlie di N. S. al Monte Calvario
Siamo alla sua prima esperienza religiosa (l’anno è il 1895) fra le figlie di Nostra Signora di Monte Calvario che allora avevano la residenza della Madre Generale e il Noviziato in Via Agostino Depretis. Fin dall'inizio della sua entrata era pronta a fare favori ed aiutare tutte le suore senza distinzione di grado, anche nei servizi più bassi, ritenendosi l'ultima di tutte; ciò che, però, maggiormente colpiva le consorelle era il fervore della sua preghiera che le riempiva di dolce meraviglia ma anche di santa invidia. Era giunta così addentro nella contemplazione degli attributi divini, che, quando ne sentiva parlare, vibrava tutta e, ci dice l’Antico «mentre il suo viso si colorava, gli occhi diventavano più scintillanti».
Se poi sentiva nominare la ‘Divina Bontà’ doveva combattere per non cadere in deliquio, cioè in estasi autentica. Del resto, con la solita semplicità, lo dice lei stessa nella sua relazione citata ancora dall'Antico:
"Il mio cuore ne era rimasto soggiogato in guisa che al solo nominare Bontà infinita mi sentivo struggere; e spesso, mio malgrado, uscivo in dimostrazioni esteriori che le Suore chiamavano ‘estasi’".
Ciò poteva accadere negli ambienti più impensati, come anche sul pulpito del refettorio, quando leggeva la vita di qualche santo, come quella del Domenicano:B. Enrico Susone, che si prestava molto allo spirito di Giuseppina.
Purtroppo, nonostante che le prove di stima ricevute da eguali e da superiori fossero tante, a lungo andare, tutto ciò doveva segnare l'inizio del suo ‘calvario’. Giuseppina stessa scrisse :
"Io credo che, fatta eccezione del peccato, la fama di estatica è il guaio più grosso che possa capitare ad una religiosa; perché se creduta, l'umiltà ne correrà pericolo; se no la sua pazienza".
E ciò, del resto, è un fatto che Giuseppina stessa definiva umanissimo. Ma non ‘troppo umanissimo’, se dobbiamo credere ad una relazione della sua compagna Bianca Savarise.
Proprio da parte delle anziane (professe), tutto questo provocò una forte animosità verso Giuseppina ancora più accentuata dalla gelosia per le sue capacità nell'apostolato e particolarmente per il sospetto creatosi che fosse anche una delatrice dell'Istituto dopo che si venne a sapere che ella, eseguendo ordini superiori, inviava al Cardinal Vicario una o due lettere il mese, attraverso Mons. Radini Tedeschi
Non ci volle molto per espellerla dall'Istituto. E il motivo fu suggerito allo stesso dottore del convento: quello di allucinazione, che alle avversarie più accanite doveva apparire il più valido e plausibile davanti, soprattutto, alle autorità religiose. Era il giugno 1897.
Dalle ‘Missionarie del S. Cuore’ della Cabrini
Né migliore fortuna ebbe la sua esperienza religiosa tra le Missionarie di Madre Cabrini (S. Francesca Saverio). Vi era entrata a Codogno (Lodi) il 20 settembre 1897 e ne era uscita in un giorno non precisato dei primi mesi dell'anno 1901.
Motivi di questa uscita? Anche qui quelle solite gelosie e i pettegolezzi che suscita una forte personalità com'era quella della Berettoni. Anche dopo il suo rientro dall'Argentina (alla fine del 1900) causato da un'infezione colerosa, non aveva cessato di prodigarsi nella sorveglianza e cura delle ragazze nel Convitto di Milano. Tutto inutile: non fu compresa; anzi, più vivamente si ridestarono le dicerie sfavorevoli che avevano varcato l'Atlantico, quando essa era ancora in Argentina.
Fu messa sotto stretta sorveglianza e isolata da tutte.
Riferisce Nora Massa, una delle più valide testimoni della permanenza di Giuseppina fra le Missionarie del S. Cuore di Gesù, che Mons. Radini Tedeschi, incontratosi in Roma con Madre Cabrini, nella casa di Via Montebello 3, all'accenno fattosi di Suor Ignazia (tale era il nome preso da Giuseppina in questo Istituto), con la schiettezza e la forza che lo distinguevano, disse:
“Dicono che la Berettoni sia un'esaltata, un'isterica e ch’io so. Ebbene è testa più salda di questa parete.” E battè le nocche sul muro.
“Dicono che la Berettoni sia un'esaltata, un'isterica e ch’io so. Ebbene è testa più salda di questa parete.” E battè le nocche sul muro.
Purtroppo, la Madre Cabrini, non bene informata sugli aspetti autentici della personalità di Giuseppina, dello spirito di orazione che la divorava; si era convinta che questa era divenuta una specie di capo dell'opposizione e pertanto un pericolo serio per la compattezza del suo Istituto, la cui condotta doveva riflettere anche nell'andamento spirituale lo stile dell'ambiente lombardo: semplice, concreto, senza nulla che potesse sapere di strano, o peggio di paranormale.
L'epilogo di questa incomprensione, anche se fra Santi, fu ovviamente il licenziamento dall'Istituto, ai primi dell'anno 1901.
Dalle Clarisse di S. Cosimato al Celio (Roma).
La ‘Monachite’ mai spenta del tutto, neanche dopo i due negativi esperimenti dal 1895 al 1901, qualche tempo dopo riprese a solleticare lo spirito di Giuseppina che, se pur impegnata sul piano di apostolato e caritativo, sempre era ugualmente assetata di raccoglimento e di preghiera, di vita intima con Dio. Troppi pericoli nel mondo, troppa la gente che la stimava; alti prelati che ammiravano in lei lo zelo, la dottrina sicura, passati al vaglio rigoroso di commissioni di teologi, etc.; troppi elementi che potevano turbare la sua modestia e la sua serenità.
A farla decidere di entrare fra le Clarisse del Celio, non poco contribuì una certa suora Antonia Mariani, già sua compagna fra le Missionarie della Cabrini.
A renderci conto del fervore che animava Giuseppina in questo nuovo ambiente (la Mariani vi era entrata precedentemente, nel Giugno 1907), basta riportare qui l'elenco di penitenze e di preghiere che ella sottopose al suo Direttore P. Blat nel periodo di carnevale del 1908; come pure le esortazioni pressanti che ella fa alla ‘sorellina-amica’ (Suor Teresa Maria del Convento di Gesù Bambino di Via Urbana a Roma), perché in questo stesso tempo: “alla vigilia di quella tristissima epoca in cui gli uomini, quasi concepissero un dovere, si danno bel tempo, quali trascurando, quali oltraggiando il Sommo Bene...”, si unisca a lei in preghiere, mortificazioni, comunioni per riparare in qualche modo perché “l’onore di Dio sia risarcito...”.Così le:
A:- Proposte di ‘mortificazioncelle’ per Pentecoste.
B:- Ma di pari passo, parallelamente a questo esercizio di preghiera e di penitenza, non manca di attendere, per spirito di obbedienza (anche se si sente di essere portata in altra direzione), agli umili lavori di cucina, di pulizia, etc..
Così scrive a Suor Teresa Maria, nella Lettera-Diario del 15 marzo 1908:
Così scrive a Suor Teresa Maria, nella Lettera-Diario del 15 marzo 1908:
"Le mie distrazioni od occupazioni non sono solo con anime, ma pure con esseri insensibili: con le pentole e tegami, ad esempio, quando sono di cucina: ch’è spesso e volentieri; e quando no, con le spazzole e le scope; tranne quando mi dedico a ricamare in seta abitini od altri ninnoli, a cui non mi sento veramente inclinata".
Ma è soprattutto per spirito di carità che attenderà alle consorelle inferme, com’è nello spirito delle Regole francescane proprie dei tre Ordini.
Così quando, agli inizi della primavera del 1908, un'epidemia influenzale prostrò a letto un buon numero di religiose, Giuseppina senza nessun riguardo per sé, si diede al servizio delle inferme, tanto che poté scrivere a P. Blat che mai le era toccato di fare una così intensa assistenza ai malati.
Ciò nonostante la Madre Badessa, che in un primo momento era rimasta entusiasta di Giuseppina (tanto da metterla a parte dei suoi progetti di riforme della Comunità), aveva cambiato atteggiamento da quando la stessa Giuseppina, in tre Capitoli si era opposta con solidi argomenti, assieme alle giovani, all’entrata di una sessantenne di dubbia vocazione. Di qui, pertanto, la Badessa ne ritardava la vestizione con vari pretesti. Ma, alla fine, la Badessa diede il suo consenso per tale atto.
Ma con la vestizione non cambiò l’opinione negativa nei suoi riguardi sia della Madre Badessa sia delle monache più anziane. E poi accadde un fatto che fece precipitare gli eventi.
Una povera monaca, angustiatissima di coscienza, sentiva ripugnanza indicibile ad aprirsi col confessore ordinario e ne desiderava uno straordinario. Non osava chiederlo, temendone un rifiuto. Giuseppina, venuta a conoscenza del tormento di quella povera consorella, spinta dalla sua carità, pregò il suo padre spirituale, P. Blat, di venire in aiuto.
Il Padre informò della cosa il Cardinal Vicario, il quale senz'altro nominò un confessore straordinario per tutto il tempo necessario a quell'anima tanto bisognosa di aiuto.
Il fatto, venuto a conoscenza della Badessa come provocato da Maria Gesuina, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ecco come la Badessa sintetizza ‘accaduto scrivendo al P. Blat il 20 e 22 settembre 1908:
"Con dolore sommo devo dirle che Maria Gesuina, è inutile il lusingarsi, ha bisogno di confessori straordinari più volte al mese, cosa impossibile per una monaca di clausura...
.... Non per giustificarmi, ma per Sua norma, il Capitolo fu fatto la sera del 20, presente il nostro Padre Provinciale. Le vocali siamo 11, i voti neri furono 11. La prego sollecitare l'uscita, essendo questo l'ordine dei Superiori...".
Giuseppina uscì dalla clausura il 24 settembre di quell'anno. Ma nonostante tali dolorose vicende, ella aveva scritto, poco tempo prima:
"Nel mio interno (e che deve trapelare pure al di fuori), godo una pace, una soavità indicibile, tanto da farmi esclamare tra lo sbigottimento e la riconoscenza: Sei pur buono, o Signore, in degnarti di consolare così l'indegna tua ancella!
Però, Padre mio, ho timore che la soavità che si è sparsa nell'anima mia, Gesù me l'abbia data per castigo, non avendo saputo in altre occasioni soffrire con allegrezza ... Che ne pensa lei Padre? Il fatto si è ch'io sono in perfetta pace. E sono in pace nell'interno benché esternamente non veda che confusione e bisbiglio".
Da tutti questi ‘fallimenti’ di vita religiosa di Giuseppina, possiamo trarne una chiara conclusione: Dio la voleva apostola laica. Se le permise degli esperimenti di vita in convento, fu perché anche colà spargesse qualche influsso della vita soprannaturale, che esuberante ferveva nella sua anima. Ma poi doveva tornare a rivelarla in mezzo al mondo.
Suo Apostolato
Il suo apostolato laico fu decisamente orientato in molte direzioni: poveri, moribondi, fanciulli, giovani, peccatori, prostitute, sacerdoti, etc., operando, possibilmente attraverso i vari organismi come le Parrocchie, i Terz’Ordini, la Congregazione delle Figlie di Maria, l'Azione Cattolica.
Nel suo metodo di fare apostolato, alla mancanza di rigore, di sistema (che le scienze pastorali pedagogiche oggi offrono), Giuseppina sopperì non solo con doti personali, come l'intuizione e l'acutezza - ch'ella ebbe, al dire di Mons. Radini Tedeschi, assieme alla parola facile e infuocata, in grado esimio -, ma soprattutto con i doni dello Spirito Santo (Colui che dovrebbe sostenere ogni apostolato): la grazia, il discernimento (frutto della sapienza e della scienza dello Spirito) e particolarmente la carità, che nel suo insaziabile zelo faceva dire a Giuseppina:
"Tutte le mie forze, tutta la mia vita voglio spendere per fare conoscere Gesù in mezzo al popolo cristiano".
Dice il D’Orazio:
"Era destinata, ad esercitare una missione universale, come esempio di missionaria laica. Ne dovevano beneficiare un po' tutti: religiose e religiosi, ecclesiastici e laici, professionisti ed operai, ricchi e poveri, indifferenti ed atei, figlie di Maria e donne perdute, malati e morenti e con particolare dilezione gli innocenti bambini".
Nelle parrocchie, negli asili, in baracche improvvisate alla periferia di Roma, era abilissima e solerte nel preparare prime comunioni, nell'organizzare festicciole d'occasione. Era brava direttrice di canto e suonava assai bene la chitarra. Le vie di Roma, l'Agro Romano, il Lazio, la Liguria, la Lombardia, le Marche e persino la lontana Argentina (1899 - 1900) la videro passare come Angelo benefico, disponibile a tutte le sollecitazioni di soccorso, prodigandosi verso tutti come pia samaritana.
Nel contatto con le anime, fu animata da una fiducia sconfinata nell’Amore Misericordioso che Gesù ha per esse. Della fiducia in questo amore, Ella fece il fulcro delle sue conquiste, il tema prediletto dei suoi discorsi col quale convinceva anche i sacerdoti a praticarla.
In una lettera al suo Direttore P. Blat, così scriveva il 4 agosto 1913:
"Sia dolce e indulgente con i peccatori, in modo da fare sentire loro tutta la dolcezza della Misericordia di Dio, di cui egli è, specialmente nel ministero della confessione, ministro e dispensatore. Cerchi di provocare nei penitenti che le si presenteranno piuttosto un dolore amoroso, che timoroso. E perciò parli della bontà divina, e non tanto della Sua giustizia, mentre ella, so bene, tende ad essere piuttosto giusto che buono".
Qui temendo di essere stata troppo ardita aggiunge:
"Perdoni buon Padre le mie osservazioni: m'è costato fargliene; ma avrei creduto di mancare di semplicità facendogliele in altra maniera; e non facendogliele avrei temuto di mancare al mio dovere...".
Quale dovere! Quello di sostenere a tutto spiano e con fermo accento, le parti della Misericordia Divina. Allo stesso Direttore raccomanda infatti rivolgendosi, anche col ‘tu’, in tono materno, di trattare le anime “con amorevolezza somma” come si riscontra in questa lettera del 9 marzo 1915:
"Soprattutto nel confessionale, è necessario armarti di questa lente. Procurare di vedere nelle anime, che ti si presentino, attraverso le loro brutture e deformità morali, ancorché mostruose, l'immagine di Dio. Oh allora quale sarà la tua compassione! La tua amabilità con esse!".
Si era offerta vittima per i sacerdoti già fin dal 1896, quando il suo Direttore di spirito era Mons. Radini Tedeschi. E nella festa del Corpus Domini di quell’anno il Signore ne fece un'apostola presso di loro. Così Gesù le aveva detto:
"La missione che Io ti affido a pro dei miei Ministri, richiede grande spogliamento di te stessa e molta, molta orazione. Dì al tuo Confessore che ti disponga; egli sarà il primo su cui l'eserciterai".
E verso i sacerdoti Giuseppina usò una sollecitudine tutta materna ma talvolta anche il tono forte.
Quanti incontri le procurava il Signore per questo delicato Ministero!
Una volta è mandata nella Chiesa del Gesù per tranquillizzare, lì nel confessionale, un Padre:, una testa piena di libri, ma più piena di dubbi, di angosce e di paure e gli dice: «Badi quello che sta leggendo è fede e basta». E gli chiude il volume fra le mani.
Altra volta in Via Condotti, ferma un sacerdote per rivelargli lì sulla strada “tutti i suoi peccati e indurlo prima di andare a celebrare la Messa a scappare nella vicina chiesa dei domenicani, a piangere e confessarsi”. Era il 30 marzo 1907.
Altra volta, nell'estate del 1920, faceva un po' di villeggiatura sull’Appennino ligure con un'amica (Nora Massa ex compagna nell'Istituto delle Missionarie della Cabrini). Un pomeriggio, prima di entrare in Chiesa, tanto lei quanto la Massa, si soffermarono sul sagrato a prendere un po' di riposo all'ombra. Ma ecco passare presso di loro un sacerdote che recitava tranquillamente il breviario. Giuseppina lo fissa un istante, poi scatta in piedi e dice alla compagna: “Va a dire a quel reverendo che desidero confessarmi”. Il sacerdote chiude il breviario e se ne va al confessionale. Dura circa un quarto d'ora, quella confessione. Alla fine, lei viene via tutta raggiante di gioia; l'altro se ne va dritto dritto all'altare, s'inginocchia e si abbandona al pianto. La mattina appresso, il sacerdote, incontrandosi con la signorina che aveva fatto da intermediaria (la Nora Massa testimone principale del fatto) le dice: “È cosa tremenda avvicinare un'anima santa”.
Questo Sacerdote, con lettera del 16 luglio 1955, a chi gli chiedeva una testimonianza sulla Berettoni, ricordava ancora bene il lontano episodio e diceva:
"Debbo attestare che nel più intimo contatto del confessionale, ella mostrò di conoscere le intime condizioni del mio spirito, note a me solo, e debbo dire d’avere ricevuto da questo suo interessamento nei miei riguardi immenso profitto spirituale - di cui ancora ringrazio il Signore".
"Debbo attestare che nel più intimo contatto del confessionale, ella mostrò di conoscere le intime condizioni del mio spirito, note a me solo, e debbo dire d’avere ricevuto da questo suo interessamento nei miei riguardi immenso profitto spirituale - di cui ancora ringrazio il Signore".
Ma non sono le sole testimonianze del suo interessamento per la santificazione del Clero. Vivissima preoccupazione per esso traspare da lettere che lei inviava anche a Mons. Onorio Magnoni, prelato romano. Così in una lettera del 4 gennaio 1915, dopo averlo ringraziato per il grande aiuto dato ad una famiglia colpita da sventure, da lei conosciuta, ed essere rimasta non solo grandemente consolata di questa carità proveniente da un sacerdote che ama tanto Gesù, ma ancora più consolata per aver la prova di essere guidata da uno che ha la scienza di Dio perché ripieno di squisita carità, così scrive:
"Non so se gliel'ho mai detto, Padre, in ogni modo sappia ch’io ho da tempo stabilito con Gesù di far tutto a vantaggio dei Sacerdoti; perché sono Essi i continuatori dell’opera di Gesù: la salvezza delle anime per la glorificazione del Padre Celeste. E vorrei avere mille vite ad un tempo (e tutte trascorrerle nei più duri sacrifici), per impedire la perdita d’un solo Sacerdote, e per ottenere a un solo la perseveranza nel bene, e l’accrescimento nella carità! Si stanno investigando tanti modi per migliorare gli uomini, per civilizzare il mondo e, secondo il mio debole parere, basterebbe che si moltiplicasse il numero di buoni e santi Sacerdoti. E non l’ha detto Gesù? - Voi siete il sale, etc... - parlando ai Sacerdoti? Se il mondo è scipito la ragione sta perché... il sale è mancante; si aumenti questo e non s‘avrà più a deplorare l’insipienza di quello.
Dico giusto, buon Padre? Compatisca il mio sfogo; se non la stimassi non Le farei simili confidenze...".
Ed ecco un'altra lettera, dell'8 marzo 1915. Dopo aver spiegato a Mons. Magnoni l'impossibilità di venire a trovarlo come si era proposta, manifesta allo stesso (perché l'Italia sta per entrare in guerra con l'Austria) l'idea di fare la crocerossina:
"In questo caso io bramerei fare parte della Croce Rossa per l'assistenza specialmente dei Sacerdoti che prendessero parte al combattimento. Nessun ostacolo avrei io per ciò da parte di parenti, i quali, grazie a Dio, non si occupano di me né in bene né in male.
Mi sono sorti, però, nell’animo, due dubbi, due timori; uno: farei io cosa gradita al Signore (in riguardo al mio voto di castità), espormi così come dovrei esserlo fra le infermiere della Croce Rossa?
L’altro: mancherei alla carità lasciando sola l’Annetta che non è ancora definitivamente sistemata (dico con un impiego, scuola, etc.), non avendo ella appoggio che il mio... debolissimo?
Probabilmente ella mi seguirebbe e in questo caso non mi rimarrebbe che ad assodare la prima difficoltà s’Ella, Rev. Don Onorio, la giudicherà tale. Le dichiarai già in un’altra mia, che i sacerdoti sono i miei fratelli prediletti; ed amandoli io tenerissimamente, perché oggetto principale dell’amore di Gesù, non potrei saperli forse più in periglio di qualsiasi combattente, senza adoperarmi per essi.
I sacerdoti in battaglia, credo, che abbiano a soffrire il doppio di quello che soffrono gli altri soldati, anche per parte di cattivi commilitoni. E nella stessa Croce Rossa, alla quale fan parte una moltitudine di increduli, e perfin di massoni, non potrebbero i Ministri di Dio, trovare pericoli per l’anima loro, o trascuratezze ed anche crudeltà nei loro bisogni fisici?.. Io non potrei dormire tranquilla sapendo in guerra ai Ministri della pace".
Il consiglio di Mons. Magnoni non poteva che risultare ‘negativo’ e, pertanto, che ‘Giuseppina si mettesse in pace’; ciò però non toglie che le preoccupazioni riguardanti i sacerdoti richiamati al fronte fossero vivissime in lei.
Ecco quanto lei scrive nel suo Diario del 19 settembre 1915:
"Stringiamoci al seno della addoloratissima Madre nostra, uniamo le nostre alle Sue lacrime; rinnoviamo ai Suoi piedi il proposito di volere mille volte morire piuttosto che venir meno ai nostri propositi di virtù, e questo sarà di gran lenimento ai Suoi dolori.
Preghiamola, preghiamola poi tanto per i nostri fratelli che non la pregano o perché non La conoscono, ovvero perché La dimenticarono; ma in modo tutto speciale, preghiamola per tanti poveri giovani consacrati a Dio che trovano la morte dell’anima là, sui campi di battaglia, ove il nemico ha teso le sue insidie.
Preghiamo la Vergine perché mitighi le loro passioni; da pericoli di peccare li allontani; che reprima l’impeto delle loro tentazioni; e raffreni il furore dell’infernale nemico, compiendo per ciò, se fa duopo, anche strepitosi miracoli, come ha fatto tante e tante volte per salvare ancora chi l’odiava...
Mettiamoci tra la Vergine ed essi: sono anime che un tempo vissero nella purezza e Santità; amiche di Dio, devote alla Vergine, ed ora l’eterno nemico dell’uomo ha vilmente accalappiato nella sua sozza rete.
Anime votate a Dio; a Lui legate con più amorosi vincoli; da Lui singolarmente amate!".
Attività Educativa
C'è un lungo scritto del Dottor Paggi, che era stato suo allievo per diversi anni, da cui risulta come Giuseppina possedesse per istinto la scienza pedagogica. Si mostrava comprensiva, dolce, buona; anche il ragazzo più caparbio ed indisciplinato non tardava ad essere conquistato dal sorriso incantatore e dalle parole che uscivano dal suo cuore di mamma. Essa sapeva per istinto manovrare tutti i mezzi alla conquista dei monelli più irrequieti, riuscendo ad insegnare come in una trama sottile, pur nell’ambiente laico liberale dell’Asilo Savoia, la religione, la morale e la pratica di una preghiera, in modo che non riuscissero pesanti e noiose. Con questa sapiente pedagogia il seme del bene messo in quei cuori effervescenti dei fanciulli, non poteva rimanere sterile. Una simile semenza, magari dopo un’invernata cruda, pur tra rovi e ortiche, un qualche fiore doveva indubbiamente produrre.
Importante circa la sua attività educatrice è quanto afferma Nora Massa. Questa, che la conosceva fin dal 1898, accenna al fascino che Giuseppina esercitava sulle giovani studentesse a cui era stata assegnata come assistente. Piccola di statura, grande, però, ella appariva a quelle giovani per le virtù che le disegnavano un’aureola, ingrandita dall’entusiasmo, per averne loro, più volte e in circostanze varie, sperimentate facoltà che non potevano ritenersi che soprannaturali.
Sarà opportuno rileggere, a questo punto, quanto scrive Nora Massa:
"La singolarità di Giuseppina, non affiorava da atteggiamenti e pose assunte volontariamente, ma da un complesso di dati che costituivano la sua esemplarità, fra soggetti dotati di quella che fu detta l’aurea mediocrità".
"La singolarità di Giuseppina, non affiorava da atteggiamenti e pose assunte volontariamente, ma da un complesso di dati che costituivano la sua esemplarità, fra soggetti dotati di quella che fu detta l’aurea mediocrità".
Ed infine la testimonianza autorevole della Contessa di Brazzà, allora Presidente del Comitato degli Asili Agro Romano, in una lettera del 20 gennaio 1927 indirizzata alla Annetta Fattori:
"Giuseppina fu una santa che passò sulla terra facendo del bene, e lasciando di sé un ricordo di pietà e di bontà che sarà da tutti ricordato, ma specialmente dal Comitato che additerà in essa una stella fulgida di esempi e di opre pure e pietose...".
Fenomeni mistici
Premesso questo, diciamo che i fenomeni mistici di cui Giuseppina beneficiò furono molti e i più disparati: visioni, locuzioni interiori, bilocazioni e perfino il dono dello scambio del cuore operato dallo stesso Bambino Gesù.
Giuseppina, infatti, era un'anima totalmente libera dagli attaccamenti umani, che ardente com’era di amore di Dio, attirava su di sé grazie veramente eccezionali.
Così accadde che un giorno il Bambino Gesù le apparve e in un discorso, che potrebbe apparire incomprensibile a molti, le parlò dello ‘scambio del cuore’ dove, per tale cosa, intendeva in realtà una grande effusione d'amore di Dio nell'anima. Gesù per rendere più viva e penetrante tale azione di Giuseppina, le diede ad intendere di toglierle veramente il cuore come in un’operazione chirurgica e di trapiantarle il suo facendo così intendere, al vivo (gesti analoghi sono presenti anche nella Bibbia quando Dio tratta con i Profeti), che d'ora in poi i suoi sentimenti in tutto sarebbero stati simili a quelli del suo cuore.
Ne conseguì, pertanto, secondo le parole di Giuseppina:
1 - Una grande compassione verso il mio prossimo e desiderio del suo bene; per questo infatti lascio volentieri e con slancio l’orazione, benché mi sia molto saporita;
2 - Un grande desiderio che Gesù sia glorificato e venga il suo regno, specialmente che si estenda il suo Regno Eucaristico, perché sono ancora molto pochi quelli che lo frequentano e non con molta devozione;
Ed ancora una terza disposizione:
3 - Trovo in me anche facilità nel vedere in tutte le cose le disposizione della Divina Bontà, sicché non già come nel passato, ora nelle contrarietà sofferte, ed in quella che via via vado soffrendo, ho una grande pace, tanto che qualcuno mi crede affatto insensibile.
Un'azione veramente ingegnosa da parte di Gesù Bambino, non nuova nella storia della Mistica (pensiamo a S. Margherita M. Alaquoque, a S. Gemma Galgani, etc.), che assecondava così gli ardenti desideri di donazione della sua consacrata e, nello stesso tempo, realizzava in lei il suo piano d'amore: farla cioè potente strumento di salvezza per i più bisognosi, per i peccatori, etc.
Il dono che caratterizzò quest'anima mistica, il più attinente alla missione di questa autentica ‘Galoppina di Gesù’, fu senz'altro quello straordinario della bilocazione che le permetteva di trovarsi con il corpo contemporaneamente in due luoghi, allorché il Signore o la Madonna la inviavano, misteriosamente, a compiere salvataggi di ammalati dell'ultima ora, oppure per consolare persone a lei care.
Il Signore (similmente a quanto si legge, ad es., nella vita di S. Antonio di Padova, di S. Pio da Pietralcina), la faceva passare a porte chiuse, come se avesse già un corpo glorificato, nei luoghi e nei momenti cruciali, quando urgeva la sua presenza per salvare qualcuno o evitare che fossero commessi peccati gravi. Del fenomeno rimanevano sorprese anche persone non facili ad impressionarsi. Infatti, una volta il Direttore di un ospedale romano (nei pressi di S. Maria Maggiore, oggi sede dell’Istituto Orientale), sbalordito, le chiese come avesse potuto introdursi a così tarda ora nel reparto, con il portone già chiuso. Al che Giuseppina rispose candidamente che lei aveva il permesso di entrare in tutti gli ospedali, e quando questi protestò chiedendole chi le avesse dato il permesso ella rispose risoluta: «Chi è da più di lei!»:
A quelle mie parole - narra Giuseppina - il Direttore ed il portiere si sono levati il cappello, ed io sono uscita, trovandomi in camera mia.
Straordinario pure l'episodio di bilocazione a Buenos Aires (se ne fa cenno in una sua lettera del 13 giugno 1906), dove fu inviata a riprendere un Carmelitano che voleva gettare l'abito. Quegli, dopo un attimo di turbamento nel vederla lì presente, così misteriosamente, fu tanto sollevato dalle sue parole che immediatamente abbandonò il suo ingiusto proposito ed anzi baciò l'abito stesso promettendo di non lasciarlo giammai.
Anche un’altra conversione miracolosa fu frutto di bilocazione. Il Signore questa volta la inviò a rimettere ordine in una famiglia moralmente disastrata. Ella, ritrovandosi nella loro abitazione, comprese per lume divino la situazione dei due coniugi che avevano una bambina all'ospedale e altri 5 figli di cui tre all'ospizio dei trovatelli, senza essere stati battezzati. Entrambi con scarsi principi morali, senza religione, in perenne contrasto a causa della bambina malata, per la quale - però - il padre nutriva uno speciale affetto, i due erano giunti a odiarsi a vicenda. Mentre litigavano si avvidero della presenza di Giuseppina ed ebbero un grande timore, ma ella li rassicurò che non era lì per punirli ma per avvertirli, in nome di Dio, di cambiare vita, mostrando di conoscere esattamente la loro scabrosa situazione.
Giuseppina spiegò loro che, in virtù dello speciale affetto nutrito dal padre per la piccola figlia, Iddio voleva premiarlo, a condizione che entrambi i coniugi conducessero una vita più dignitosa, per tutta la famiglia. Essi seguirono i suoi consigli ed intrapresero una nuova vita, anche sotto l’aspetto spirituale. Da questa nuova situazione spirituale ne conseguì anche la grazia della conversione del nonno paterno, che non si confessava da 45 anni. E in oltre il riavvicinamento alla Chiesa di un altro figlio di questi. In questo, come in tanti altri episodi clamorosi di conversione di peccatori avvenuti grazie a bilocazioni, la presenza di Giuseppina ed il suo discorrere deciso procurava l'effetto voluto, poiché a tutti appariva quasi portatrice della potenza stessa di Dio. Come anche in altri due casi, consimili, che qui segnaliamo semplicemente, ma che sono bene dettagliati nelle fonti. Uno è il caso del ‘barbone’ Tommaso ritrovato in una grotta, moribondo, sulla Via Flaminia; l’altro è quello di una certa Luigia, in Via Vaccina n. 52, morente pur essa, il cui padre, garibaldino e anticlericale, non permetteva che i preti l'avvicinassero.
Ultimi Bagliori
Che avesse un fisico sano e robusto prova ne sono (al dire sempre dell'Antico) anche le varie tribolazioni e sofferenze fisiche cui ella per tutta la sua esistenza non si sottrasse e che praticamente le procurarono non solo la conversione dei suoi fratelli bisognosi ‘i peccatori’, ma pure la purificazione vieppiù dal fuoco della carità esercitata verso di loro.
Qui se ne ricordano solo alcune:
- La generosità con cui a dieci anni accolse la proposta d'una compagna di scuola di farsi punzecchiare con uno spillo senza lamentarsi onde la stessa facesse lo stesso suo voto alla Madonna di non negare cosa alcuna che le fosse domandata in Suo nome.
- Ingiurie e calunnie sopportate in vari ambienti nei quali si era cimentata per la vita religiosa.
- Le reazioni violente sopportate in silenzio in un luogo infame dov'era stata una volta inviata dalla Madonna.
- La sofferenza che sopportò volontariamente per vari mesi al posto del malato di etisia nell'Ospedale S. Giacomo (Roma), incline alla bestemmia, pure di ottenergli la guarigione fisica e morale, sofferenze ch'ebbero non poche conseguenze fino a doversi trasferire a Genova per curarsi ma dove per qualche mese, a casa di certi Tubino come cameriera, si era dovuta, invece, assoggettare a fatiche inusitate.
- Camminate per chilometri e nottate in bianco, per assistere, ad esempio, un infermo, zio di un'orfanella a S. Angelo in Vado.
Altri sacrifici cui si sottopose nei periodi:
- all'Asilo Savoia, come assistente di ragazzi; quelli per i quali giorno e notte girava per la campagna romana, assistendo i malati di Spagnola;
- in casa di una consorella inferma del Terzo Ordine Francescano, per nottate e nottate.
Fisico valido, invero, aveva che non fu mai risparmiato per i fratelli bisognosi e sofferenti anche con veglioni (nottate intere di preghiera), discipline, cilici, digiuni.
Nell’ottobre 1926, per le manovre ostili di politici locali, Giuseppina fu trasferita dall'Asilo della Magliana a quello di Ponte Mammolo, altra borgata nell’allora Agro Romano alquanto staccata, a quei tempi, dalla città.
Colà la Chiesa più prossima era a circa quattro chilometri, sicché la maggior parte di quegli abitanti non aveva la possibilità, nemmeno nei giorni festivi, di ascoltare la S. Messa. Giuseppina propose di raccogliere offerte per la costruzione di una cappella.
Intanto per il prossimo Natale volle procurare che almeno in quella festività, tanto cara al cuore del cristiano, la gente della borgata avesse la gioia di assistere alla celebrazione d'una Santa Messa.
Ottenne dall'autorità ecclesiastica il permesso di far celebrare la Santa Messa in un'aula della scuola. Andò alla ricerca di tutto l'occorrente per il Sacro Rito e per il Presepio, camminando per chilometri col peso in testa come usavano le contadine, senza darsi pensiero per la fatica. La cattedra della scuola divenne l'altare e nel giorno benedetto numerosi abitanti della borgata poterono assistere alla S. Messa celebrata dal parroco di zona.
Rientrò a casa stanca morta ma felice di aver fatto «nascere Gesù in quella Borgata».
Pur con la scuola a Ponte Mammolo, non abbandonò affatto le opere della Magliana, ove aveva lavorato per circa nove anni; continuò a coltivarle con grande solerzia.
In questo periodo estremo della sua attività, Giuseppina ha avuto il presentimento dell'approssimarsi alla sua fine?
Era ancora in piena attività, aveva appena passato il 51 anno della sua vita terrena. Eppure, possiamo affermare che ne ebbe desiderio e anteveggenza.
Un giorno del giugno 1926, trovandosi al cimitero del Verano con il suo cugino, il Colonnello Onofrio Meluzzi, gli chiese di essere seppellita nella sua tomba di famiglia, al lotto n. 2 del Pincetto Vecchio, dinanzi alla quale si trovavano in quel momento. Il cugino in tono faceto le rispose:
- Volentieri, s'accomodi pure!
Egli morì due mesi dopo, all'età di anni 57; la promessa fu comunque mantenuta dalla sorella sig.ra Giulia Meluzzi ved. Damiani.
L'ultima volta che Giuseppina si recò dal P. Blat per la confessione, fu il 12 gennaio 1927. Dopo aver parlato del suo lavoro a Ponte Mammolo, volle avvertirlo che sentiva di morir presto. Il Padre non diede molta importanza a queste ultime parole della sua figliola, ritenendole piuttosto espressione di un suo desiderio di morire.
Già nel 1920 dopo la morte della sua amica Suor Teresa Maria Bianchi, scriveva:
"Io temo, Padre, temo di vivere perché temo di poter perdere da un momento all'altro la grazia di Dio. Non odio la vita, ma amo la morte; so ch'è un bene la prima e un bene maggiore la seconda. Invidio Teresa che ha già consumato il suo corso. Certo che la sua dipartita m'ha reso più amaro l'esilio... e più vivo il desiderio del Paradiso...".
E circa un mese prima della morte, così narra la Signorina Adelia Bulla, nel cui palazzo Giuseppina aveva il suo modesto appartamento dal 1920:
- un giorno, trovandosi da lei, dopo aver parlato di altre cose, esclamò:
"Fra un mese in Paradiso!".
Nel riferirlo la medesima signorina cercò di dare un'idea dell'atteggiamento di gioia con cui l'amica pronunciò tali parole, ripetendone i movimenti della persona e delle mani.
Il 7 gennaio 1927, Giuseppina scrisse alla sua amica Ines Siccardi, ricoverata nel sanatorio Umberto I, la seguente lettera:
"Non ho risposto alla Sua lettera, né Le ho inviato uno scritto per le grandi solennità passate, perché mi ero proposta di passare molte ore in Sua compagnia. Ma il mio povero cuore mi ha fatto mandare a monte i miei propositi. Non vuol più lavorare il poltronaccio... è malato e durante questo ultimo mese dell'anno 1926 mi ha dato molto fastidio, e a farlo apposta specialmente nei giorni che avrei dovuto venire da Lei. Domenica anzi arrivai fino alla piazza S. Giovanni, ma dovetti retrocedere. Ho delle strette improvvise e frequenti... in una di quelle rimarrò.
Evviva Gesù!
Fra una stretta e l'altra spero venire a vederla, almeno per congedarmi da Lei e prendere bene l'appuntamento per il Paradiso.
Mi aspetti, che ci andremo insieme... Vuole?
Col cuore Le sono stata e Le sarò sempre vicina..., e non potendo parlare con Lei di Gesù, ho parlato a Lui di Lei e ho offerto al Signore il sacrificio di non poterla vedere.
A mezzo del mio buon Angelo Le invio un tenero abbraccio.
Coraggio sorellina! Il sacrificio ci rende più simili a Gesù. Lasciamoci dunque martoriare da quanti mali, vorrà l'amor Suo inviarci e pronunciamo con gratitudine il fiat della completa nostra adesione alla Sua sempre adorabile volontà".
E con riferimento al luogo della sua morte, che Giuseppina prevedeva come prossima, così ci ricorda Nora Massa:
"Un giorno scendevo con Giuseppina la scala secondaria che dal modesto appartamento - dove essa abitava in alto, in casa Bulla di Via quattro Cantoni, 19, negli ultimi anni della sua vita assieme alla Fattori - immette in Via Paolina, quando le dissi:
- Pensa, che difficoltà sarà, un giorno, se morrai qui, portar fuori la tua cassa! - (La scala invero è molto angusta)
- Stai tranquilla, Noretta - mi rispose- questo fastidio non lo darò a nessuno.
- Vuoi dire che tu intendi andare a stare in un grande palazzo?
- In un grande palazzo non ci andrò - furono le parole di Giuseppina - ma non disturberò nessuno".
E nella testimonianza della Ianigro, altra sua amica che nella circostanza era insieme con loro, vi è anche questa affermazione:
"Ho chiesto a Gesù di farmi morire in Chiesa dopo la Comunione".
In realtà Giuseppina negli ultimi tempi soffriva di debolezza cardiaca, che la costringeva ad alzarsi di notte per il malessere che l'opprimeva. Ma nonostante la sofferenza e le raccomandazioni del Direttore e della Fattori, il giorno 16 gennaio 1927, cioè la vigilia della sua morte, volle recarsi alla Magliana per zelare le opere di apostolato che vi aveva suscitato.
Voleva morire sulla breccia.
Tornando a Roma, acquistò nel negozio della signorina Bianca Capponi un'immagine del S. Cuore, che fece benedire nella Chiesa di S. Prassede.
Alla sera, già in letto e prima di addormentarsi, disse all'Annetta:
"Se muoio, ricordati di dare cinque lire, che oggi non avevo con me, alla signorina Bianca Capponi per l'immagine del S. Cuore".
Morte Preziosa
La mattina del 17 gennaio 1927, circa le ore 7, uscì per recarsi, secondo il suo solito, a S. Maria Maggiore. Portava una valigetta e l'ombrello, essendo cattivo tempo. Avendo salita la lunga scalinata dalla parte dell'abside della Basilica, entrò in chiesa molto affannata. Andò ad inginocchiarsi vicino ad Annetta alla balaustra della Sacra culla, ove si celebrava una Messa. Poi, passando alla cappella del Sacramento, fece la sua Comunione. Annetta che l'aveva preceduta, compiute le sue devozioni, la salutò e partì per la scuola.
Poco dopo Giuseppina si recò in Sacrestia e, dopo aver venerato il battistero ove era stata battezzata, si presentò al Parroco Mons. Fulvio Antonelli per chiedergli a chi dovesse consegnare l'obolo raccolto per la S. Infanzia.
Questi, come ne ha riferito in una relazione scritta, conosceva solo di vista e di fama Giuseppina, ma prima di quel giorno non aveva avuto occasione di parlarle. Dopo che ebbe risposto alla sua domanda, colse l'occasione per parlarle di quanto lei aveva fatto per il bene della popolazione dell'Agro Romano, specie durante l'epidemia della Spagnola del 1918, opere ch'egli ben conosceva. Giuseppina rammentò anch'essa alcuni episodi e ringraziò il Signore di quanto aveva potuto fare:
Lo diceva - scrive Mons. Antonelli - con animo pieno di santa gioia.
- Ma - concludeva - sono malata di cuore, e questa mattina, se sapesse quanto soffro!.. Sia fatta la volontà del Signore!
Io - continua Mons. Antonelli - le raccomandai di aversi riguardo per l'asilo di Ponte Mammolo.
Giuseppina dopo un atto di riverenza all'Altare della Confessione, andò a porsi nell'inginocchiatoio che sta davanti alla Cappella Paolina, per chiedere la benedizione alla Madonna ‘Salus Populi Romani’. Era da pochi minuti in preghiera, quand'ecco gridò:
- Muoio, aiuto!
Fu pronto ad accorrere il mansionario, sig. Tobia Ruffaldi, lì presso per le pulizie, il quale la sorresse e l'accompagnò al lato centrale della coppia di colonne a sinistra, dove altre signore la posero a sedere su una sedia.
Tobia corse ad avvisare il Parroco, il quale giunse sollecito e, vedendola, capì subito che si trattava di un attacco di cuore. Appena Giuseppina ebbe scorto Monsignore, gli chiese l'assoluzione; senonché quegli non supponendo una fine così prossima, le diede una semplice benedizione. Avvedutasene, Giuseppina gli disse:
- Lei non mi ha dato l'assoluzione; mi dia, mi dia l'assoluzione!
Allora Monsignore le suggerì qualche pensiero d'amore e fiducia in Dio; e dopo che ella ebbe detto l'atto di contrizione, le diede l'assoluzione. Subito Giuseppina, col sorriso, alzando gli occhi al Cielo:
- Signore - mormorò - quanto ti ringrazio! Ti offro la mia vita!
Perdette i sensi, e di lì a poco rendeva la sua anima innocente e santa a Dio.
Aveva ben ragione di ringraziare il Signore; aveva infatti ottenuto quanto aveva desiderato: chiudere gli occhi per sempre in Chiesa dopo la Comunione.
Così nel Tempio della Madre di Dio, dinnanzi alla sua vetusta immagine ‘Salus Populi Romani’, ove aveva col Battesimo iniziato la sua vita di grazia, con la morte iniziava anche la corsa verso la vita di gloria.
Alba e tramonto sotto lo sguardo materno di Maria.
Parte Seconda
Le virtù di Giuseppina Berettoni
Virtù della Serva di Dio
Fede incrollabile.
Alimentava la sua fede colla lettura dei Santi Vangeli che portava seco. Da detta lettura ricavava quella fede illuminata che comunicava ad altre anime: e non poche furono quelle che, illuminate dalla sua parola facile e persuasiva, tornarono a Dio. Per il suo desiderio di vivere di pura fede, che sempre conservò, fu favorita da Dio di doni soprannaturali.
Uguale alla sua fede, fu il suo abbandono fiducioso in Dio; e in varie critiche circostanze in cui si trovò, non perdette il suo sorriso abituale e la sua confidenza in Dio. A chi voleva guidarla secondo l'umana prudenza, rispondeva: «Lasciamo fare al Signore!... Fidiamoci di Gesù!..»
Speranza.
La sua speranza non mai scossa, fu straordinariamente fortificata colle sofferenze patite dal nemico infernale con le prove soprannaturali dell'angelica protezione.
Umiltà e rettitudine
L'umiltà fu la virtù che più la preoccupò, perché più temeva di perdere, e tale timore esagerato le fu motivo di celeste rimprovero, quando dicendo al suo Angelo: «M'imbroglia molto l'umiltà, non si potrebbe essere santi senza di essa?», le fu risposto: «Dell'umiltà come tu l'intendi, sì, perché le tue miserie devono servirti di sgabello per salire alla conoscenza di Dio: tu invece resti ferma guardando lo sgabello delle tue miserie. Bada che ti sarà tolto questo sgabello, ma tu non te ne devi occupare». - «Allora pregherò il Signore che me la dia l'umiltà. Ma io già la domando ogni ora»
E veramente in quel tempo, ogni ora, recitava fra le altre brevi preghiere, questa giaculatoria: «Signore dammi l'umiltà, la purità e la carità» suggeritale dalla Madonna con promessa di accrescimento di tali virtù. Nascondeva per umiltà i favori straordinari con una genialità tutta sua.
Provò quasi sempre grande difficoltà per manifestare al suo Direttore le cose straordinarie che in lei avvenivano e che doveva riferire per ingiunzione celeste fattale parecchie volte.
La sincerità e l'umiltà - le fu detto - possono stare insieme, giacché l'umiltà è il riconoscere i doni ricevuti riferendoli a Dio. E tu, per timore della superbia, non devi mancare alla sincerità.
Della rettitudine d'intenzione della Serva di Dio, in parlare, secondo l'istruzione avuta sulla semplicità, non opposta all'umiltà, valga il seguente brano dei suoi scritti:
1° Dicembre 1906. - Quanta consolazione provò il mio cuore nel rivedere la mia carissima amica Faustina! Una cosa mi disse però, questa timida colombina che non arrivo a spiegare: Abbi prudenza nel parlare con N. N. o con altri, non dir questo, non dir quell'altro. Tu parli con semplicità, ma chi ti ascolta, può non avere tanta prudenza di non rendere pubblico quello che tu dici e ciò anche non per malizia, ma per semplicità... ecc.
È vero che io non rifletto troppo alle conseguenze che certe cose riferite o rese pubbliche mi recherebbero, ma internamente sento dirmi che io non devo fare altro esame di previsione che questo: può quanto sto per dire, glorificare Dio e consolare il mio prossimo? se parmi di sì, non rifletto di più. So benissimo che il demonio potrebbe servirsi anche dei miei discorsi fatti con rettitudine d'intenzione e, Dio permettendoglielo, rivolgere contro di me l'universo intero, ma so altresì che a Dio piacciono più i semplici che gli astuti e che del resto, niun danno me ne può venire, che Egli non possa cambiarlo in bene per l'anima mia».
Una volta disse al suo Direttore: «Sempre ho avuto cura di ricopiare in me le virtù di Gesù: in altro tempo credevo che bastasse non voler male ai nemici, ma quando seppi che Gesù voleva che si amassero, lo procurai davvero».
E si studiò difatti di rendere bene per male. A conferma di questo, citerò solo due fatti più recenti. Nel 1925 seppe che una Signorina si trovava all'ospedale per un’operazione e disse a me «Voglio proprio andare a farle una visita, poveretta!... Mi ha fatto tanto soffrire quando abitavo con lei e sua sorella...».
Andò con tutta la sua cordialità abituale e le offrì dei dolci. La malata, la ricevette con grande meraviglia e commozione.
Nel settembre 1926, quando col Pellegrinaggio Nazionale, ci recavamo a Lourdes, dal nostro scompartimento di terza classe, di notte, vide attraversare il corridoio dalla suddetta Signorina, che pure faceva parte del Pellegrinaggio. Appena passata, mi disse: «L'hai vista? quella è la mia nemica. Poveretta com'è ridotta! Vogliamo farla entrare qui?». Quando la vide ripassare, si alzò a salutarla, la fermò, parlarono, e saputo che quella non si sentiva bene e che stava scomoda nel suo scompartimento, Giuseppina le cedette il suo posto e il suo cuscino da viaggio e la fece riposare tutta la notte. La mattina si sentì soddisfatta di essere stata a disagio per dar sollievo a quella poverina.
Queste sono le vendette dei santi!
«Dolcezza! dolcezza! dolcezza!» le aveva raccomandato il suo sposo Divino, «che tu abbia, sempre il sorriso sulle labbra». Fece singolare studio di questa virtù sicché si mostrava a tutti piacevole e sorridente quantunque fosse opposto al suo carattere.
Cercava di ricopiare la mansuetudine dell'Agnello divino di cui si cibava ogni giorno.
Godeva pace interna, frutto della sua carità sempre accesa e vigilava con grande zelo per conservarla o riacquistarla se turbata per qualche motivo.
Ebbe una coscienza molto delicata, ma senza scrupoli; per conservarne la purezza, usava con frequenza della Confessione anche per semplici difetti incerti.
Fu terziaria francescana e domenicana e di entrambi i santi Patriarchi Francesco e Domenico praticò gl'insegnamenti dopo averne approfondito lo spirito. Le consorelle francescane della Congregazione di S. Antonio in Via Merulana, ricordano tuttora la parola semplice, ma viva, improntata al fuoco dell'amor di Dio, che usciva dalla bocca della Maestra delle Novizie! Sempre rimarranno scolpiti nel loro cuore gli esempi di virtù di Giuseppina Berettoni, la sua amabilità, la sua dolcezza, il suo sorriso.
Fu donna forte ad ogni prova; nelle ristrettezze economiche, fino a soffrire la fame: nel servigio notturno e gratuito agli infermi, nel sopportare contraddizioni e privazioni che le cagionarono l'altrui zelo indiscreto. Trattò bene coloro che la molestarono privandola anche del tetto e degli appoggi più preziosi per la vita spirituale.
Fu forte nel sopportare le tribolazioni cagionatele assiduamente e per lungo tempo dal nemico infernale.
Fu in un modo singolare sposa scelta di Gesù e vera Ancella di Maria, servendosi di lei l’eccelsa Madre di Dio, per parecchi servigi a profitto delle anime.
Ne citerò solo uno, da lei stessa narrato ai suo Direttore in data 16 maggio 1906.
I. M. I.
Roma, 16 maggio 1906.
Molto Rev.do e carissimo Padre,
La tristezza che da giorni mi opprimeva, d'un tratto si dileguò cambiandosi tosto in gaudium magnum. Ero in compagnia di Cristina e Alfonsa nella Chiesa di S. Carlo, per la visita al SS. Sacramento mentre vi si faceva la funzione del mese Mariano: quando contro ogni mia aspettazione mi apparve (nel modo ultimo detto) la Vergine Santissima.
A tal vista, temetti dapprima una illusione ma, dopo le indicatemi prove, rassicurato dalla bontà del personaggio, feci a richiederle che cosa volesse da me: Che tu vada questa stessa sera stessa in Via... ad assistere la povera mia figlia ed indurla al ravvedimento. Da anni o decenni vive in luogo infame ove fu tratta per inganno a tredici anni. Chiedine la dovuta licenza e va, senza timore ed indugio. Io ti sarò dappresso. Perciò mandai a Lei, ecc. Venuto il Superiore gli dissi. Padre mi si dà un caso pel quale abbisogno assolutamente di consiglio. - Ebbene dica, dica pure. - Una Signora mio conoscente mi ha pregato di recarmi in Via F.... presso una inferma che trovasi in un luogo infame per cercare d'indurla a confessarsi; che ne dice, Vostra R., posso andare? - Aspetti un momento - mi rispose. Recitai il Veni creator per il suo Superiore; egli pure evidentemente, pregava e poi - Vada pure - mi disse - la Madonna l'aiuterà, lo Spirito Santo le suggerirà quello che dovrà dire e fare in vantaggio di quella meschina. Ha fatto bene di venire a domandare il consiglio, che da sé, non doveva mai azzardarsi a passare la notte in luogo tale, ma coll'obbedienza non deve temere di nulla.
Questa risposta, mi riempì di meraviglia e di contento insieme: meraviglia, perché dal suo Rettore, non me la sarei aspettata una risposta così chiara e pronta in cosa di tanta gravità (specialmente per avergli io manifestata la cosa in modo del tutto ordinario) e contento anche provai, non solo pel bene che mi ripromettevo di fare coll'aiuto divino, a quella meschinella, ma anche perché non mi vidi così costretta a manifestare al suo Superiore quello che di straordinario era avvenuto. Prima di lasciarmi andare mi richiese se avevo persona d'età che mi accompagnasse; risposi che vi sarei andata con una mia vecchia amica (alludendo alla Madonna).
E vi andai di fatto, ma le confesso, Padre, con gran ribrezzo. Mi fu facile l'ingresso nella stanza dell'inferma che trovai sola ed affranta da un'asma affannosa. - Sorella mia, le dissi, voi soffrite tanto, nevvero? - Tanto!, mi rispose. Ma chi è lei? - inutile vi dica il mio nome, tanto non potete conoscermi. Ma allora, perché è qui? - Per scongiurarvi, in nome della Madonna, a detestare i vostri peccati e riconciliarvi con Dio, prima che vi presentiate al Suo cospetto. - Ah, Signorina, non nomini in questo luogo di peccato, il nome della più pura fra le donne; sarebbe un profanarlo: in quanto poi al perdono dei miei peccati, come oserei sperarlo se furono tanti e tanto grossi? - E qui si coprì il volto colle mani e cominciò a piangere dirottamente. In quel mentre entrarono tre donne; la più anziana, mi si fece innanzi, e con cipiglio severo mi richiese: - Che volete voi da questa? - indicandomi l'inferma. - Dacché la scienza non può salvarle il corpo voglio provarmi io a salvarle l'anima. - Voi!... Sareste forse mandata dai preti a carpire qualche soldarello a quella disgraziata. Non i pretti, mi manda qui la Madonna che vuole ad ogni costo salvare quella poverina. - Sì, la Madonna! - replicò con sogghigno beffardo la interlocutrice alzando il braccio per percuotermi, le fu però impedito dalle due compagne d'aspetto meno arcigno che la trascinarono quasi a forza fuori della stanza. Mi avvicinai allora al letto dell'inferma e le consigliai: - Domandate che vi portino al vicino ospedale di S. G... ove potrete trovare un Sacerdote, a cui manifestando le vostre colpe, ne riceverete il perdono. - Ma sono tali e tanti, Signorina, che è impossibile il perdono! - Per quante esse siano e per quanto gravi, spariranno completamente dall'anima vostra solo che il Sangue preziosissimo di Gesù vi si riversi. A voi rincresce, nevvero, d’averlo offeso? - Se mi rincresce! - e qui piangeva di nuovo. - Fatevi animo, sorella mia, se grandi sono stati i vostri peccati, più grande, infinitamente più grande è la misericordia di Dio. - Ma come mai lei, replicava fra i singhiozzi, giovane e onesta, non ha avuto ribrezzo d'entrare in questa casa d'inferno? ma lo sapeva lei, chi ero io? - Io non vi conoscevo, ma la Madonna apparendomi, mi ha detto: Io voglio che tu vada questa sera stessa in Via F.... ad assistere una povera mia figlia ed indurla al ravvedimento; da anni ed anni vive in luogo infame ove fu tratta per inganno a tredici anni. - È proprio così, Signorina mia! La Madonna le ha detto questo! Ce l'ha mandata Lei qui? La ringrazi per me, Signorina ! Avevo ripugnanza di andare all'ospedale, ma per confessarmi, non vedo altra via. Qui il Sacerdote non lo lascerebbero entrare. Ma anche lei, Signorina, ne esca presto, potrebbe vedere cose che la scandalizzerebbero: telefoni alla pubblica assistenza; andrò all'ospedale. Mi venga a trovare, Signorina, che dopo essermi confessata, prima di morire voglio baciarle la mano. - La bacerete per me alla Madonna, quando la vedrete in Paradiso: ma ditemi, nella vostra vita, Le rendeste forse qualche speciale ossequio? - Io? No, che mi ricordi... prima che entrassi in questa casa maledetta, ero pero nella congregazione delle Figlie di Maria... allora ero buona, innocente, ma l'ho profanata dopo, la mia medaglia!... Ebbene, coraggio, sorella mia, la Vergine Santissima non si è dimenticata di esservi madre, benché voi vi siate dimenticata d'esserle figlia. Maria Santissima è Madre specialmente dei peccatori e, come il Divin Suo Figlio ci fu dato per redimerci dalla schiavitù del peccato, così Maria Santissima ci fu data per ritrovare la via della salute. Per Maria ne venne Gesù; se smarrito, solo per Maria possiamo riaverlo. Voi avete trovato Maria, o meglio Maria Santissima è venuta a rintracciar voi, tenetevi dunque certa di rinvenire Gesù.
Lasciai all'inferma una medaglia della Vergine e uscii dalla sua camera. Mi recai in una vicina farmacia e telefonai alla pubblica assistenza, raccomandando la massima urgenza. Erano poco più delle ore 10, quando rincasai. Sbocconcellai un po' di cena e poi mi ritirai in camera. Nel mentre mi provavo a rendere le dovute grazie alla Vergine, per avermi scelta ad istrumento delle sue misericordie, nuovamente mi apparve (sempre nello stesso modo) e...: Grazie a te, figlia diletta, mi disse, per aver seguito appuntino quanto ti ordinai. Dio ti rimeriti! e disparve lasciandomi confusa per tanta benignità e grandemente consolata. Stamane alle 5,30 mi recai all'ospedale e vi ritrovai la mia sorellina prossima a dare l'ultimo respiro; si era già confessata e aveva anche ricevuta l'estrema unzione, ma per il continuo vomito (avendo anche un cancro allo stomaco) non poté ricevere la Santa Comunione, benché ne avesse mostrato vivo ed insieme umile desiderio.
Tra le smanie dell'agonia, invocava la Madonna coi titoli più dolci. Mi riconobbe, e afferratami la mano, voleva portarla alle labbra, ma non glielo permisero le forze: allora io vi appressai il Crocifisso e le sussurrai all'orecchio: Le mani di Gesù baciate, esse vi apriranno il Paradiso. - Gesù buono!... a me il Paradiso?... a me?... grazie!... grazie!... - E con queste e simili parole d'umiltà e confidenza (mi riferì una Signora che mandai poco fa all'ospedale) se ne morì verso le 2 pomeridiane.
Lei beata, che sia pure in fin di vita si è data a Gesù! Ma quanti, oh! quanti fratelli ci sono che muoiono colla bestemmia sul labbro, e piombano nel baratro infernale! Per evitare un tanto male io vorrei soffrire mille pene, affrontare inauditi sacrifici... vorrei... temo, Padre mio, di mancare d'umi1tà coi miei arditi vorrei, io che pochi giorni fa chiamavo gravose poche e piccole croci! Vede, Padre, quanto sono mai incoerente! Quale assegnamento può fare lo Sposo, di una sposa come me fredda e incostante? Preghi, preghi sempre per me acciò non mi renda del tutto indegna del glorioso titolo di Sposa di Gesù e di figlia di Maria.
Nel cuore del Primo e sotto il manto della Seconda troverà quando il voglia la sua
aff.ma figlia in G. C Giuseppina
Obbedienza.
Ebbe grandissima obbedienza ai suoi successivi Direttori, sotto-ponendo ad essi quanto doveva fare e le manifestazioni ricevute dall'alto, ed altri favori, per dipendere in tutto da essi.
Alla virtù dell'obbedienza, è dovuto il suo ingresso nell'Istituto del Calvario e la sua uscita da esso: l'avere appartenuto come novizia ad un altro Istituto, pel quale sentiva ripugnanza, ma le era stato ordinato da Dio, pel bene che doveva compiervi, sia in Italia, che in America. Terminato il suo compito, e per ordine superiore, uscì da quell'Istituto. Infine, soltanto dopo il consenso del suo Direttore, si decise a vestire l'abito delle Clarisse, che poi, senza veruna sua colpa, dovette lasciare e rassegnarsi a vivere nel secolo.
Anelava alla vita religiosa; ma, come abbiamo visto, Dio permise che entrasse in detti Istituti, soltanto per compiervi una missione, perché la voleva in mezzo al mondo. Nel mondo doveva svolgere la sua vita di fervido apostolato: ed ecco che la vediamo in mezzo ai bambini, alle giovani, alle donne del popolo; nelle scuole, negli ospedali, nel tugurio del povero, presso i moribondi: ovunque vi erano o delle miserie da soccorrere, o delle anime da istruire, illuminare, salvare.
Purezza.
La sua purezza fu illibata, e conservò fino alla morte una semplicità da bambina. A nove anni fece il voto di verginità. Tanto era l'amore a questa bella virtù che per conservarla in sé, non solo fuggiva qualunque occasione potesse adombrarla, ma non risparmiava al suo corpo, digiuni e penitenze. E perché questo fiore illibato fosse conservato e rispettato in altre anime, usava in certe occasioni, di una forza e di un’arditezza rare in una donna.
Un giorno, saputo che un uomo aveva osato mancare di rispetto ad una giovanetta, tante ne seppe dire a quell'uomo, che lo costrinse ad inginocchiarsi e chiedere perdono.
Una sera in treno (nel 1912) accortasi che un giovane si avvicinava troppo e molestava una signorina che viaggiava in sua compagnia, scattò, prese quel giovane per la cravatta e lo spinse violentemente indietro; alle proteste di lui, rispose con tanta serietà e fermezza che l'obbligò ad allontanarsi.
Trovò la forza di conservare la sua purezza, nella preghiera e nella mortificazione.
Spirito di preghiera.
Pregava molto, se non vogliamo dire ininterrottamente, poiché qualunque luogo o momento era per lei adatto per pregare. Non bastandole il giorno, pregava di notte: quasi ogni settimana, (quando cioè ne aveva il permesso e la possibilità) faceva l'Ora Santa, cioè vegliava in preghiere dalle undici alla mezzanotte del giovedì di venerdì. In alcune occasioni speciali, faceva i veglioni (così lei li chiamava) vegliava cioè a pregare tutta la notte, e se il suo corpo voleva cedere al sonno, lo risvegliava con discipline.
Sua delizia era lo stare innanzi a Gesù Sacramentato, specialmente quando Lo vedeva solennemente esposto.
Ho detto più sopra che la S. Comunione era il suo pane quotidiano; qui aggiungo che era il sospiro più ardente del suo cuore e, nessun ostacolo valeva ad impedirle di unirsi al suo Gesù Sacramentato.
Amò di tenerissimo amore la SS. Vergine che chiamava «la cara Mammina» e da Lei fu riamata con tenerezza ineffabile, ricevendo prove anche straordinarie della Sua materna protezione.
Spirito di penitenza.
Fece dei prolungati digiuni e, per molto tempo, i Sabati a pane ed acqua. Negli ultimi anni, perché più affaticata per la scuola ed altre opere di apostolato, e perché più debole, si accontentò di aggiungere al suo cibo nei giorni di digiuno, (cioè mercoledì, venerdì e sabato d'ogni settimana) un po' di verdura o altra cosa di stretto magro.
Fece frequenti discipline e per molto tempo, dormì sulle tavole che teneva sotto il lenzuolo.
Amore verso Dio
L'amore verso Dio e lo zelo per la sua gloria, fu l'oggetto del suo cuore ardente. Guai se sentiva bestemmiare o fare discorsi sconvenienti: diventava di fuoco. Un giorno mi disse: «Se una volta o l'altra, non mi vedi tornare, cercami in qualche ospedale; sarà segno che qualcuno a cui avrò fatta una delle mie, mi avrà rotta la testa. Che bello! farsi rompere la testa per Gesù!» Avrebbe voluto che tutte le anime avessero conosciuto ed amato Gesù, ed a questo scopo, non risparmiava parole, spese, fatiche. A me che, negli ultimi tempi della sua vita, le raccomandavo di risparmiarsi un poco, disse un giorno: «Ma tu non senti nel cuore un gran desiderio di far conoscere Gesù e di farlo amare da tutti?» Tutta la sua gioia era di «dare Gesù alle anime»; di fatti da citare ce ne sarebbero tanti, ma mi limiterò a questo, il più recente.
Avendo saputo che nella borgata Ponte Mammolo, ove insegnava dall'ottobre 1926, la Chiesa era lontana quattro chilometri e che la maggior parte di quegli abitanti non sentiva la Messa nei giorni festivi, propose di raccogliere offerte per far costruire una cappella, ed intanto, perché quelle persone potessero ascoltare la S. Messa almeno il giorno di Natale, chiese ed ottenne dall'Autorità Ecclesiastica, il permesso di far celebrare nella scuola. Bisognava però mettersi d'accordo col Parroco di quella zona e provvedere a tutto: ebbene ella si mette in moto, sola, in campagna, a piedi per parecchi chilometri, e portando del peso; va, domanda, ottiene. La sua cattedra, servì da Altare, e in quel giorno di Natale, numerose furono le persone che, per il suo zelo, poterono ascoltare la S. Messa. Tornò a casa stanca, ma raggiante di gioia, per aver fatto «nascere Gesù in quella borgata».
Amore del prossimo e suo apostolato
Dall'amore di Dio nasce l'amore del prossimo. Conosciuto il suo amore verso Dio, è facile dedurre quale sia stato il suo amore verso il prossimo. Avrebbe voluto lenire tutti i dolori, soccorrere tutte le miserie: dava e dava senza contare; dava anche più di quanto potevano permettere le sue risorse finanziarie. Era felice di privarsi anche del necessario, per venire in soccorso dei suoi fratelli bisognosi. Più volte Dio mostrò di gradire e benedire la sua carità col moltiplicarle prodigiosamente il denaro in favore dei poveri, come vedremo da una lettera scritta al suo Direttore il 5 giugno 1906.
Nel 1918, quando la febbre spagnola, desolò la campagna romana, lei, per lungo tempo, seguita solo da un'amica, senza badare al rigore della stagione ed al pericolo di contagio, si recava ogni mattina con un calesse carico di medicinali ed altri soccorsi a portare il conforto materiale e spirituale, nelle più remote zone della campagna romana, compiendo fin dove era possibile, la missione dell'infermiera, del medico, del sacerdote.
La sera tornava stanca, spesso affamata, ma sempre piena d'ardore e pronta a rimettersi in moto il giorno seguente.
Il suo amore però, mirava più direttamente alle anime. Il ministero della scuola, che esercitò fina alla vigilia della sua morte, fu un esercizio della più alta beneficenza in favore delle anime, per il dono pregevolissimo ricevuto dal Cielo, di saper volgere al bene l'animo dei fanciulli. Alla sua scuola i piccoli crescevano buoni e pii; e anzi, non pochi, sotto la sua guida, coi primi rudimenti della cultura, apprendevano a schiudere l'anima alla grande idea della vita sacerdotale e, fatte appena le classi elementari, passavano o nei Seminari o in scuole preparatorie di Ordini religiosi per divenire un giorno sacerdoti zelanti di Gesù Cristo.
In questi ultimi anni, la borgata Magliana era divenuta come il centro della sua attività professionale ed apostolica e nessuno può ridire il bene che vi seminò come insegnante e come coadiutrice del Parroco nelle varie opere parrocchiali. L'opera massima cui ella rivolse tutte le sue più tenere cure e cui non risparmiò neppure la vita, fu la formazione morale della gioventù femminile iscritta alla Pia Unione delle Figlie di Maria, riportandone frutti visibili ed insperati. Non bastandole questo campo di attività, volle istituire la Congregazione delle Spose e Madri Cristiane che diresse con rara abilità e tatto. E l'opera della Dottrina Cristiana, e l'assistenza gratuita per legittimare matrimoni, e la Sezione filodrammatica femminile ebbero anch'esse la loro parte del suo zelo ardentissimo.
Dove più si distinse il suo spirito d'apostolato fu nella conversione delle anime, specialmente di quelle che si trovavano prossime a presentarsi al tribunale di Dio. A quanti e quanti peccatori anche arrabbiati anticlericali, cresciuti e vissuti in mezzo a perniciosissimi pregiudizi, fanaticamente avversi ad ogni cosa che seppe di Chiesa, non seppe la Giuseppina, trasformata in infermiera, infondere in cuore sentimenti tutti opposti a quelli per tanto tempo nutriti, sino ad accogliere il Sacerdote, prima ostinatamente rifiutato, riceverne i conforti della Religione e così pentiti, mandarli fiduciosi e tranquilli incontro alla morte ed al divino giudizio! Quante di queste anime devono la loro eterna salvezza allo zelo della serva di Dio!
Qui trovo opportuno, a conferma di ciò, trascrivere una lettera che ella scrisse al suo Direttore:
I. M. I.
Roma, 26 agosto 1906
Mio buon Padre,
Torno adesso dal Vaticano ove assistetti alla Messa Papale e ricevetti dalle mani dell'Augusto Vicario di Gesù Cristo, il Pane degli Angeli: con quanta soddisfazione mia, glielo lascio immaginare!
Da tempo l'avevo desiderato un tanto favore, e Gesù, che nulla sa negare alla sua ancella glielo ha concesso. Sia anche per questo nuovo tratto della sua bontà verso di me, benedetto e lodato in eterno! Ma ho a darle un'altra notizia, Padre, per la quale, con maggior ragione, unitamente a me, povera figliuola, Gliene renderà lode. Ed è la conversione e la santa morte di quella donna appartenente alla setta (che dico alla setta? Dovrei dire alle sette), oltrecché massonica, socialista brunista (cioè di Giordano Bruno) e a non so quante altre mai tristissime.
In compagnia di quella tal Signora, piissima vedova, entrai nella stamberga della moribonda: fummo richieste a che fine ci fossimo portate là. A sollievo della malata - rispondemmo.
E che andate sollevando - ribatte l'uomo dall'aspetto brutale e cascante per il molto vino che doveva aver bevuto - fra poco era bella e cotta...- Così dicendo, si era buttato su d'una specie di poltrona, e poco dopo, saporitamente dormiva.
Accertate che altri uomini non vi fossero in quel canile, ci avvicinammo alla moribonda la quale si chiamava Nazzarena; questo nome additava una nascita cristiana, perché un tal nome, non si dà che a cristiani e pii cristiani.
- Povera Nazzarena, soffrite molto nevvero? - Come un cane!... Ah, venisse presto la morte!.. - e giù un'orribile bestemmia contro Gesù... Io non avevo mai udito bestemmie dai moribondi; che tutti in quel punto, fossero uomini o donne, mostrano un certo riserbo: quella disgraziata, no; invocava la morte come fine ai suoi mali ed imprecava a Gesù, perché credeva (e con quanta ragione!) causa del suo ritardo. Ma quella bestemmia, quello strale lanciato contro l'Amatore delle anime, andò a ferire il suo Cuore, e da quella ferita uscì con effusione, l'acqua vivificatrice, la sola capace a dissetare e purgare le anime. Quella pia signora, all'udire bestemmiare, non seppe trattenere le lagrime; io non piangevo, ma ero internamente straziata e pregavo il dolcissimo mio Signore e Sposo a voler perdonare l'ingiuria e le altre molte colpe di quella meschina e fui esaudita. "Sia tua conquista, diletta mia, Io non so resistere alle tue domande, lo sai, qualunque cosa tu mi chieda non posso e non voglio rifiutarti perché tu nulla hai rifiutato al mio Amore". Sicura della parola del mio Sposo, mi avvicinai all'infelice sorella e: - ancora pochi momenti di vita ti rimangono: hai giusto il tempo di confessare le tue colpe, di detestarle, e di ricevere dopo sessant'anni come tuo viatico, Colui che dovrà fra breve giudicarti secondo le opere tue. Non temi, sorella, questo annunzio - Io non ho paura di nessuno! - Tu, non dirai così, tra poco, quando nella sua maestà ti si mostrerà il Divin Giudice e li condannerà all'eterna perdizione. Se adesso giudichi insopportabile il male che t'affligge, che cosa farai nel fuoco per tutta l'eternità? - Ah, no, nel fuoco non voglio andare! Due inferni no! Ma ditemi, signora, se io mi confesso, basterà questo a non farmi andare al l'inferno? - Sì, certamente, purché ti confessi bene! - E che cosa bisogna fare per confessarsi bene? - Bisogna dire tutti i peccati che commettesti dopo 1'ultima confessione fatta bene e concepirne vero e profondo rincrescimento, non solo per l'inferno meritato, ma ancora per l'offesa ed il disgusto dato a Dio coi peccati. Ti par poco, sorella mia, avere addolorato Dio? Egli, non per sé, che il peccato non lo tocca, ma per il bene, per l'amore grande che ci porta, prova grandissimo rincrescimento in vedere che ci allontaniamo da Lui col peccato, avvicinandoci così alla perdizione; e da parte sua, fa del tutto per richiamarci a Sé, come ha fatto con te tante volte! - E voi che ne sapete? - Lo so, lo so… ormai, conosco per mia e per altrui esperienza, quanto è buono Gesù… e tu lo hai bestemmiato! ma tu non sapevi nevvero che bestemmiavi? - Lo sapevo, lo sapevo!.. ma io non lo credevo così buono come voi me lo avete descritto... A me avevano detto peste e vituperio di Lui... Ma scusatemi, è vero, o non è vero, che è Dio fatto uomo? - E sì, certamente; ed è morto in croce per salvarci dall'inferno, per meritarci il Paradiso. - A me avevano detto che è morto in croce come (mi dà pena ripetere il paragone) Giordano Bruno sul rogo, per affermare i suoi principi. - Ma Giordano Bruno fu un degenerato, doppiamente apostata e i suoi scritti tale lo manifestano. Ma Gesù, fu santo, sempre santo e puro, e pura e santa fu la sua dottrina. - Volete dire il vangelo? - Che lo conosci? - Magari l'avessi messo in pratica! - Sei ancora in tempo! Il padrone, non ti ha ancora domandato conto dei talenti che ti aveva consegnato... - Oh, se me la ricordo questa parabola! Ogni volta che aprivo il vangelo, mi capitava sott'occhio, ma allora io chiudevo il libro. - Non farlo adesso, sorella mia, che il padrone è alla porta. - Ma, è tutto dire, confessarsi, a chi non l'ha fatto più da sessant'anni! - Il sacerdote ti aiuterà, ti ricorderà i peccati. - Ah, me li ricorderà lui? E chi può mai immaginarli i miei peccati? È possibile che Gesù Cristo voglia perdonarmeli tutti?... - Sì, purché tu formi un vero dolore dei tuoi peccati. - È certo che mi rincresce di aver fatte tante birbonate e d'aver trattato Gesù Cristo, come un nemico, Lui che è morto in croce per salvarmi dall'inferno. - Dunque vado a chiamare il prete? - Sì, ma non tanto giovane, se no si scandalizza. - Ma quest'uomo, se si svegliasse? - Non c'è pericolo; neppure le cannonate lo sveglierebbero, adesso però lo manderò via io. - Chiamò una delle nipoti, una ragazzetta sui quattordici anni; dopo poco entrarono nella stanza, o soffitta, due uomini (coinquilini della malata) s'incollarono l'ubriaco e, di peso, senza ch'egli desse alcun segno di vita, lo trasportarono in una stamberga vicina. Erano le undici di notte, la Signora mia compagna, unita ad una donnetta del vicinato, andò a chiamare il Parroco, io intanto disposi l'inferma per ricevere i SS. Sacramenti. Più di due ore (dovendosi l'inferma riposare e prendere qualche ristoro) durò la Confessione. Dopo una certa Scrittura che il Parroco estese e che l'inferma sottoscrisse di suo pugno, le fu dato il S. Viatico che ricevette con trasporti di umiltà e di riconoscenza, e subito dopo l'Estrema Unzione. Ancora un bel po' il pio Sacerdote si trattenne al capezzale della moribonda, la quale, col nome di Gesù sulle labbra, - ripetendo appunto per la centesima volta la breve e succosissima giaculatoria propria dei moribondi - Gesù mio misericordia! - ripetendosi l'attacco cardiaco che da anni aveva, spirò. Noi, insieme al buon Sacerdote recitammo alcune preci per la defunta ed il Te Deum di ringraziamento a Dio, per tanta grazia.
Io andai a passare il resto della notte in casa di quella pia vedova in Piazza Farnese, ma né lei, né io chiudemmo occhio, tanto ci aveva scosso il fatto amorosissimo al quale sì viva parte avevamo preso. Benedicevamo Gesù e la Sua amorosissima Madre, come Ella farà ancora, buon Padre, a ciò invitando anche il P. Girolamo e quanti più può.
Benedica e raccomandi a Dio la sua
Giuseppina.
Questo fatto, e l'altro citato nella lettera del 16 maggio 1905, sono un saggio delle molte conversioni operate dalla Serva di Dio; alle volte avvenute in modi ordinari, ma evidentemente preparati da Dio stesso.
Tale fu una parte del suo apostolato, ben nascosto. Di un altro, verso le orfanelle, servano le seguenti parole della Serva di Dio scritte al suo Direttore:
5 giugno 1906
Apparizioni e comunicazioni, grazie a Dio, non ne ho avute in questi giorni: adesso le temo più che prima (e poi si sta tanto bene senza) meno, fastidio anche per Lei Padre... non è vero?
Non mi sgridi, Padre, per averle fatta questa confessione; ma con lei devo essere schietta, anche a rischio d'essere impertinente. Non ostante però non abbia manifestazioni etc., mi trovo abbastanza raccolta ed unita al mio Dio, durante e fuori dell'orazione della qual grazia, ancora mi riconosco immeritevolissima e ne do lode a Dio tre volte santo e solo degno di adorazione e di amore.
Non ho ancora scritto alla Clarissa, ma quanto prima lo farò: oggi no, perché devo occuparmi per rinchiudere due orfanelle d'ambo i genitori. Oh! Se vedesse, Padre, quanto mi torna facile annidare queste care colombine pericolanti! Ci si vede proprio l'opera della Madonna SS.ma. Ogni difficoltà si appiana; pensi, Padre, che nel mese ora decorso, cinque orfanelle potei, per sola grazia di Dio, rinchiudere in religiosi orfanotrofi.
Ed è per questo e per l'aiuto in denari (che nel mese di maggio una diecina di volte mi si moltiplicarono) dati al Circolo delle Donne Cattoliche, che socie e presidenti, mi vogliono fare vicepresidente del circolo mio che è sotto il titolo e la protezione della figlia primogenita di S. Domenico, voglio dire S. Caterina da Siena. Io mi sono rifiutata energicamente ed allegramente.
Testo tratto da VITA E VIRTU' DI GIUSEPPINA BERETTONI di Annetta Fattori e P. Giovanni Coradazzi
- edizione del 2008 a cura di Ferruccio Botto. Il libretto a stampa può
essere richiesto presso il Centro Giuseppina Berettoni o reperibile
presso la libreria delle Apostoline della Pontificia Università
Antonianum in Roma, via Merulana 124.